martedì 23 giugno 2009

Referendum, la legge non si cambia




Maroni: ma servono nuove regole per le consultazioni popolari
ANTONELLA RAMPINO


ROMA«Cronaca di una morte annunciata», dice il presidente della Camera Gianfranco Fini, commentando l’esito del referendum. Il quorum, indispensabile per un quesito abrogativo, non è stato raggiunto, come in molti speravano o temevano e come accade da 14 anni. Mai l’affluenza è stata così bassa. Per le tre schede da mettere nell’urna è andata ai seggi una media di poco superiore al 23 per cento di italiani. E poco consola i referendari Mario Segni e Giovanni Guzzetta che, poi, di quella quota insufficiente di italiani oltre l’80 per cento si sia orientata per il «sì».
E poiché si trattava di modificare l’assegnazione del premio di maggioranza, alle liste e non alle coalizioni, il più entusiasta dell’esito è Pier Ferdinando Casini, «gli italiani hanno detto un secco no al bipartitismo». Naturalmente, difficile che da un esito referendario a così bassa partecipazione si possa trarre come conseguenza una valutazione dei cittadini sull’attuale legge elettorale, anche se qua e là, trasversalmente nei partiti, c’è chi solleva il problema. Per ora, tutti sono all’attacco dell’istituto referendario. Bisogna modificarlo, dicono in coro i rappresentanti delle forze politiche. A cominciare dal leghista Roberto Maroni, che è il responsabile del Viminale e che vorrebbe «mandare il conto» a Segni e Guzzetta per quest’ultima consultazione, minacciando pure querela.
E’ un istituto «importante per la democrazia» il referendum, dice Maroni, «ma va modificato, perché poi il conto lo pagano i cittadini». Non una parola in più sul come e quando, anche perché questo per la Lega è il momento dell’esultanza, «siamo capaci di vincere, la gente è con noi» fa notare Bossi, e «Bossi è stato il primo a dire che non si sarebbe raggiunto il quorum», fa eco Roberto Castelli.
Qualcosa in più si capisce in campo avverso, «bisogna aumentare il numero delle firme necessarie a presentare un referendum ed eliminare il quorum, che è uno strumento per annullare il voto popolare», chiede dal Pd Massimo D’Alema, rinverdendo una proposta che fu avanzata anni fa, ai tempi in cui si discuteva la riforma costituzionale del centrodestra, da Giuliano Amato. Non è il solo a pensarla così, nel Pd, anche oggi. E la Lega fiuta l’interesse dell’opposizione, anche nell’intenzione di metter mano al all’attuale legge elettorale, tanto che Calderoli fa subito sapere «e adesso, prima le riforme costituzionali e poi la legge elettorale». Fosse così, di certo si rivedrebbe prima l’istituto referendario.
Solo il presidente della Camera legge nel risultato referendario un significato politico assai legato al momento politico attuale: «Sbaglieremmo se dicessimo che oggi non è accaduto nulla, che era tutto prevedibile», spiega Gianfranco Fini. Anzi, la scarsa partecipazione al referendum «rappresenta un campanello d’allarme, un segnale che gli italiani stanno lanciando alle classi dirigenti e che noi dobbiamo cogliere, per mettere in campo le contromisure necessarie per riappassionare gli italiani alla politica ». Di fronte alla dichiarazione, il coordinatore del Pdl Denis Verdini alza le spalle: è solo che «la materia della legge elettorale alla gente interessa poco».

Nessun commento: