lunedì 6 luglio 2009

Europarlamento: Mario Mauro rinuncia alla presidenza

L’esponente del Pdl Mario Mauro ha annunciato il ritiro della propria candidatura alla presidenza del Parlamento europeo «d’intesa con i vertici del mio partito e del gruppo Ppe». Nel comunicato si spiega di aver voluto evitare «un’inutile e disdicevole spaccatura» nel voto del gruppo fissato per domani. Mauro chiarisce che una spaccatura all’interno del gruppo «avrebbe come conseguenza per la famiglia politica dei Popolari quella di arrivare divisi alla fase costitutiva della legislatura e cioè quella in cui bisogna indicare con chiarezza gli obiettivi politici nell’interesse dei cittadini europei».Mauro ringrazia «di cuore» il governo italiano «per il suo prodigarsi e soprattutto i tanti che hanno sostenuto questo tentativo» che l’europarlamentare spiega di aver sentito di rappresentare «al di là del colore politico». Con la sua decisione odierna l’europarlamentare del Pdl lascia dunque il passo al collega polacco Jerzy Buzek. Mauro sottolinea come la sua rinuncia sia anche un modo «per contribuire responsabilmente al ruolo che i Popolari europei devono avere perché la politica e il progetto europeo, in particolare vengano percepiti come tensione al bene comune e amore al destino dei nostri popoli». Mauro ha anche rivolto un invito a sostenere la rielezione del presidente della Commissione europea Barroso.

Corea del Nord: ancora lancio missili a corto raggio

A distanza di poche settimane dal suo ultimo "azzardo missilistico", alle 17.20 ora locale (le 11:20 in Italia) ed alle 18:00 ora locale (le 12:00 in Italia), Pyongyang ha lanciato nuovamente, ad una preoccupata comunità internazionale, la sua sempre più allarmante sfida.Secondo quanto affermato dal portavoce del Ministro della Difesa sudcoreano Won Tae-Jae, così come riportato dall'agenzia stampa ufficiale Sud Coreana Yonhap, infatti, due missili, presumibilmente a corto raggio, sarebbero stati lanciati dalla base militare di Sinsang-ni situata in prossimità della città di Wonsan.
Inoltre fonti dell'intelligence sudcoreana e statunitense riportano che è possibile che Pyongyang effettui ulteriori test di missili Scud (corto raggio) e Rodong (medio raggio) nel corso delle prossime ore.Indiscrezioni citate dal quotidiano sudcoreano Joong Ang ritengono addirittura possibile che i test possano essere effettuati il 4 Luglio, giorno particolare e pieno di valenza storica e simbolica per gli Stati Uniti che in tale data celebrano la loro indipendenza dalla corona britannica.Tale tesi parrebbe peraltro avvalorata dal divieto di navigazione, imposto dalle autorità nord coreane, del tratto di mare antistante la costa orientale del paese.
Ricordando che nello scorso mese di giugno, in risposta all'inasprimento delle sanzioni economica imposte dall'ONU, ed alla risoluzione ONU 1874 (presa d'urgenza contro la Corea del Nord in conseguenza dei test missilistici effettuati da Pyongyang il 25 maggio scorso con la quale si proibisce alla Corea del Nord di trasportare all'esterno dei propri confini tanto armi convenzionali quanto componenti per armi nucleari), Kim Yong-Il aveva annunciato di voler destinare al programma militare nucleare tutto il plutonio ottenuto dalle barre di uranio esausto, si capisce quanto questa nuova sfida allarmi la già preoccupata comunità internazionale.
Inoltre, per comprendere a fondo il quadro di una situazione sull'orlo del tracollo nonché la ragione che muove le azioni di Kim Yong-Il, è doveroso segnalare che, nonostante la stampa occidentale non abbia gettato la dovuta luce su un fatto tanto particolare e significativo, da qualche settimana è in corso nel mar di Corea un singolare inseguimento che vede il cacciatorpediniere statunitense "Uss John Mc Cain" sulla scia del mercantile nordcoreano "Kang Nam" diretto a Myanmar, in Birmania, e nelle cui stive si sospetta ci sia materiale radioattivo oppure armi, in entrambi i casi un carico che, secondo la detta risoluzione, non avrebbe dovuto lasciare le coste della Corea del Nord.
La Kang Nam non ha fin ora dato segni di volersi volontariamente arrestare per aprire le proprie stive agli ispettori americani e la John Mc Cain non si trova, chiaramente, nella posizione di aprire il fuoco sul mercantile; dunque l'unica speranza della comunità internazionale per intercettare la Kang Nam è che questa accosti al porto di Singapore per rifornirsi di carburante.Se la Kang Nam attraccasse in porto a Singapore, sarebbe possibile, per le autorità locali, procedere ad un controllo delle stive e prendere eventualmente misure diplomaticamente più opportune rispetto a quelle che avrebbero potuto prendere i cannoni della Mc Cain.
Alla luce di quanto appena detto, dunque, il lancio missilistico del 2 luglio potrebbe essere letto come un monito dal messaggio chiaro tra le cui righe si legge che Pyongyang non scherzava affatto quando minacciava che ogni atto ostile sarebbe stato contrastato da una risposta militare decisa ed immediata.
Per ora il raggiungimento degli equilibri geopolitici di questa affascinante e facinorosa porzione del Sud Est Asiatico risulta, proprio come la Kang Nam ed il suo misterioso carico, ancora in alto mare.

Cina, scontri tra polizia e minoranza musulmana


URUMQI (CINA) - È pesantissimo il bilancio delle proteste scatenate dalla minoranza etnica uigura musulmana nello Xinjiang, in Cina occidentale. Secondo una nota dell'agenzia ufficiale cinese Xinhua, negli scontri sono morte almeno 140 persone, mentre altre 816 sono rimaste ferite.

LA VERSIONE DEL REGIME - Secondo quanto hanno dichiarato fonti ufficiali cinesi a Urumqi centinaia di persone hanno «attaccato dei passanti» e dato fuoco alle auto. I manifestanti hanno anche bloccato la circolazione ad alcuni incroci della città, prima dell’intervento della polizia. Secondo fonti non governative invece le proteste, alle quali hanno partecipato tra le 1.000 e le 3.000 persone, sono cominciate nel pomeriggio di domenica proprio a Urumqi, capitale della regione autonoma dello Xinjiang. La rivolta era iniziata in maniera pacifica, con una marcia di circa 300 giovani uighuri, che manifestavano per la morte di due membri dell'etnia in una fabbrica di giocattoli a Canton, nel sud della Cina, dopo che erano stati accusati di aver violentato una giovane. Ma sono intervenute le forze di sicurezza e a quel punto sono iniziate i violenti scontri.

LA STORIA - Lo Xinjiang è una spina nel fianco del gigante asiatico. La provincia, nel nord-ovest del Paese, è a maggioranza musulmana. Il governo centrale di Pechino controlla lo Xinjiang con il pugno di ferro per tenere a bada una ribellione sommersa attribuita alla minoranza musulmana degli uiguri. Ai confini con l’Asia centrale, lo Xinjiang conta circa 8,3 milioni di uiguri, che lamentano la repressione politica e religiosa condotta dalla Cina dietro il paravento della lotta al terrorismo.

Honduras, fallito il rientro di Manuel Zelaya

Tentativo fallito di rientro in patria per Manuel Zelaya, al termine di una giornata drammatica: il presidente deposto dell’Honduras ha qualche ora fa cercato di tornare nel suo paese, ma è solo riuscito a sorvolare per qualche minuto la pista d’atterraggio dell’aeroporto di Tegucigalpa, bloccata dai militari per ordine del governo de facto presieduto da Roberto Micheletti. Ad attendere il rientro di Zelaya, una settimana esatta dopo il golpe, c’erano i suoi simpatizzanti (secondo alcune fonti, circa 30 mila) che fin dal mattino si erano recati all’aeroporto ’Toncontin’ di Tegucigalpa. Dopo ore di tensione, le forze della sicurezza (polizia ed esercito) hanno caricato, provocando almeno due morti, tra i quali una adolescente di 16 anni, mentre molti sono stati i feriti. Dopo il tentativo andato a vuoto a Tegucigalpa, l’aereo messo a disposizione dal Venezuela, con il quale Zelaya era partito quattro ore prima da Washington, è poi atterrato a Managua, da dove il presidente intendeva trasferirsi a San Salvador, per incontrare alcuni colleghi latinoamericani e il segretario generale dell’Organizzazione degli stati americani (Osa), Josè Miguel Insulza, che da giorni sta cercando di portare avanti una mediazione. All’aeroporto, tenuti a distanza dalle forze di sicurezza, i simpatizzanti pro-Zelaya hanno per ore urlato slogan contro «i militari del colpo di Stato», chiedendo il «rientro del presidente», mentre ogni tanto scrutavano il cielo in attesa dell’aereo con Zelaya. Gli incidenti sono esplosi nel pomeriggio, quando la polizia ha risposto al tentativo di alcuni manifestanti di raggiungere la pista di atterraggio, blindata ormai da ore dai soldati. C’è quindi stato il lancio di gas lacrimogeni e spari: due morti e due feriti. Al termine degli scontri, durati una decina di minuti, è tornata una relativa calma e, dopo circa un’ora, nel cielo sopra l’aeroporto si è sentito il sorvolo di un jet, subito salutato dai manifestanti anti-golpisti. A confermare che era in effetti l’aereo del presidente è stato lo stesso Zelaya che, tramite l’emittente Telesur, ribadiva di voler atterrare nello scalo. Zelaya ha però poco dopo fatto sapere di dover desistere per consiglio dei piloti, visto che - ha spiegato - era impossibile scendere a causa del dispiegamento dei militari e di alcuni camion collocati sulla pista d’atterraggio. «Rischiavamo un incidente con l’aereo», ha precisato, sottolineando - con il pensiero rivolto ai suoi sostenitori - che «se avessi un paracadute, sarei pronto a lanciarmi». Qualche ora prima, Micheletti aveva ribadito che non avrebbe permesso l’ingresso di Zelaya, durante una conferenza stampa nella quale ha d’altro lato denunciato «la mobilitazione alla frontiera di piccoli gruppi di truppe nicaraguensi»: accusa subito smentita da Managua da parte del presidente sandinista, Daniel Ortega. Sul fronte diplomatico, dopo la missione ieri a Tegucigalpa di Insulza, nelle ultime ore c’è da registrare una mossa da parte del governo de facto proprio in direzione di tale organismo: la vice-ministro degli Esteri di Micheletti, Martha Alvarado, ha proposto all’organismo «di avviare un dialogo in buona fede tra una delegazione dell’Honduras... e una dei rappresentanti degli Stati membri dell’Osa». Oltre all’aereo messo a disposizione da Caracas per il volo di Zelaya, Insulza, e i presidenti latinoamericani più vicini al presidente deposto (l’argentina Cristina Fernandez Kirchner, il paraguaiano Fernando Lugo e l’ecuadoriano Rafael Correa) erano a loro volta partiti in un altro aereo, sempre da Washington, per El Salvador. L’obiettivo era quello di poter incontrare il presidente deposto per fare il punto sull’ "operazione rientro", poi fallita, e sui prossimi tentativi dello stesso presidente per rientrare in patria: forse «domani o dopodomani, mercoledì o giovedì», ha tenuto a precisare Zelaya.