Nessuno può dire di non aver mai ascoltato per radio brani come “Un kilo”, “Tre parole”, “Ascolta il tuo cuore”. Tutti brani di artisti differenti ma che hanno fatto la storia delle nostre radio. Che ci hanno accompagnato senza che noi ce ne accorgessimo per tutte le vacanze estive o natalizie, o ancora tutte le mattine quando andiamo a lavorare e tutte le sere quando torniamo distrutti a casa.
E allora tra noi pensiamo che, essendo trasmessa tre volte al giorno, se non anche di più, sette giorni su sette, la gente da casa l’avrà votata. Avrà espresso il proprio gradimento, la propria preferenza verso quella determinata canzone e non verso un’altra che magari, a nostro modo di vedere la cosa, potrebbe risultare migliore.
E allora tra noi pensiamo che, essendo trasmessa tre volte al giorno, se non anche di più, sette giorni su sette, la gente da casa l’avrà votata. Avrà espresso il proprio gradimento, la propria preferenza verso quella determinata canzone e non verso un’altra che magari, a nostro modo di vedere la cosa, potrebbe risultare migliore.
Ma è proprio su questo punto che ci sbagliamo! Vi siete mai chiesti se la nostra opinione conta veramente? Vi siete mai chiesti chi sceglie e con quale criterio sceglie le canzoni da mandare in onda? Vi siete mai chiesti come vengono create le hit del momento, della settimana o del mese o ancora dell’anno?
Secondo un’analisi che ha preso come oggetto varie case discografiche e vari network, possiamo dire che il legame che unisce le prime ai secondi è un legame di opportunismo reciproco, di sostegno e sfruttamento.
La casa discografica decide di promuovere un singolo definito “più commerciale”, “più pop” e che, soprattutto rientra nei tre minuti e mezzo. Perché? Perché i network devono guadagnare proprio come le case discografiche e per far questo devono mandare in onda più brani possibili. Brani di cinque minuti tolgono spazio ad altri brani e quindi a capitali. E allora si da il via alla selezione di brani “brevi”, per ottimizzare il tempo e lo spazio e aumentare i capitali.
Molte volte succede che il singolo mandato in onda non è il più bello, ma il più orecchiabile. Quel tipo di brano che anche se non trovi bello, ha un motivetto così semplice che canticchi sotto la doccia, o in macchina in mezzo al traffico e non riesci più a toglierti dalla testa anche se lo trovi insopportabile.
E anche in questo caso, possiamo utilizzare un termine molto frequente nel nostro vocabolario anche se ad alcuni potrà sembrare molto forte e usato a sproposito. Si può parlare di Mafia. Perché?
La storia ha inizio negli anni ’90 quando le case discografiche non erano in grado di controllare il numero e la frequenza dei passaggi delle loro canzoni sulla radio. Per questo motivo le etichette discografiche chiesero ad una società di rilevazioni di inventarsi un metodo per monitorare le emittenti private più importanti. Nacque così il Music Control: il mezzo di rilevazione dei passaggi radiofonici con la funzione di conoscere l’effettivo air play (ossia quante volte una canzone viene trasmessa su una stazione radio) di un brano sul territorio nazionale. Da qui si possono stilare le classifiche dei brani più ascoltati. Ma per capirci meglio riportiamo un esempio fatto da Gianni Togni sul suo Blog: “il Sig. Emi Italia (amministratore delegato di una major) deve far vedere al Sig. Emi International (il suo capo) che ha lavorato bene. Come? Se il brano dell’artista da lui promosso passa su tutte le radio vuol dire che la promozione ha lavorato al meglio, anche se poi il cd ha venduto poco.
Ammettendo che ciò sia vero, bisognerebbe affermare che Music Control è diventato l’unico mezzo a disposizione delle major per esercitare pressione sulle radio, limitando la libertà di scelta e di selezione dei prodotti da una parte (se si vuole un singolo in anteprima allora devi mandare in onda anche quest’altra canzone), e aumentandone il potere sul mercato dall’altro lato (se è così utile alle case discografiche allora queste devono investire sulle frequenze della radio presa in considerazione) in modo tale da riuscire a giustificare il proprio lavoro anche all’estero.
Music Control produce dei risultati non reali e completamente falsati in quanto con questo sistema si sale in classifica a seconda del numero di passaggi d’airplay. Così le hit suonano sempre presunti successi decisi a tavolino: poche canzoni più volte al giorno.
Questo sistema di “mercato fittizio” è così ben radicato nelle radio che ormai non si fanno più indagini di gradimento per sapere quali sono i brani preferiti dal pubblico, ma si cerca di capire quando un brano ha stancato.
Questo nuovo metodo condiziona anche il mondo del manageriato, che in base alle classifiche sviluppate da Music Control organizzano spesso tour faraonici per i personaggi con più air play, mentre diventa sempre più difficile scovare un angolino libero per chi offre idee innovative e dimostra vero talento.
Essendo ormai unico strumento a disposizione per stilare una classifica dei “più amati”, questo nuovo scenario porta in sé un “micidiale” effetto a catena: i programmi televisivi ospitano sempre gli stessi artisti che sono al vertice dell’airplay, i giornalisti parlano solo ed esclusivamente di loro, ecc.
Allora la domanda è “Come si arriva ad essere suonati dai network?” Potremmo semplicemente rispondere dicendo che dietro a tutto ciò nasce, cresce e ci divora una vera truffa!
Per emergere dalle acque della quotidianità, o meglio per cavalcare l’onda, occorre fare un investimento di almeno sei spot pubblicitari quotidiani che possono costare anche 70 mila euro per 15 giorni (ovviamente parlando solo dell’investimento che si fa su una sola radio).
Molte volte ciò non è sufficiente per raggiungere la cresta: i palinsesti musicali vengono fatti al 99% dai direttori artistici che decidono autonomamente se il brano è o non è adatto allo standard della emittente e quindi decidere se mandarlo in onda oppure no. Ovviamente esiste una sorta di clientelismo, che spesso si tramuta in vera e propria corruzione: ma questo dove non succede?
Quante volte si decide liberamente, senza un secondo fine, in qualsiasi ambito ci si trovi, di privilegiare un artista sconosciuto solo per il suo talento? Mettendoci una mano sulla coscienza e rispondendo onestamente: zero volte!
Quante volte si decide liberamente, senza un secondo fine, in qualsiasi ambito ci si trovi, di privilegiare un artista sconosciuto solo per il suo talento? Mettendoci una mano sulla coscienza e rispondendo onestamente: zero volte!
Se un direttore artistico decide di mandare in onda un determinato brano lo fa perché qualche suo caro amico, magari, lo ha pregato in ginocchio, ma come dice Togni “quel bonario favore assomiglia fortemente a quello che ogni tanto fa ai suoi sudditi un boss o un padrino”.
Ma ovviamente c’è chi leggendo queste accuse, che possiamo trovare anche sul blog dello stesso celebre cantante di “Gloria”, il già sopra menzionato Togni, c’è chi si rifiuta d’accettare queste violente affermazioni e si difende dicendo che le major hanno il ruolo di promoters, i quali spesso sono figure private e che, previo compenso professionale, fanno questo lavoro di proposta. Un disco, un artista, può essere affidato a figure intermedie, che come gli intermediari immobiliari, presentano ai “clienti” gli appartamenti da vendere.
Walter Mameli, produttore di Cesare Cremonini, afferma che davanti ad un rifiuto non c’è promoter che tenga: il prodotto non va da nessuna parte. E continua affermando che il “reietto”, potrebbe trovare un qualche spiraglio di luce in qualche radio locale o minore.
“Le pressioni non sono altro che educate insistenze, ma che non avendo elementi di ricatto se non qualche anteprima o qualche intervista, lasciano il tempo che trovano”.
Di contro, Paolo Piva, speaker di RDS, afferma che è indispensabile riconoscere che nel mondo dello spettacolo (musica, radio, televisione, …) le pubbliche relazioni resteranno sempre parte integrante del lavoro di un artista a meno che qualcuno non le sbrighi per lui.
Bisogna conoscere la persona giusta al momento giusto, saper promuovere il proprio talento. Continua affermando che non esiste lo spazio per tutti i nuovi talenti e che proprio per questo motivo occorre fare una selezione.
E sebbene Piva con il suo intervento avesse voluto denigrare e sminuire le pesanti accuse rivolte al mondo della radio, alla fine non ha fatto altro che confermare quanto si è detto fin qui.
E per portare una testimonianza più vicina alla realtà di cui stiamo trattando e anche più concreta di supposizioni che potrebbero essere paragonate a parole gridate al vento; intervistando qualche personalità all’interno di RTL, questi hanno confermato che per emergere bisogna conoscere, che la radio da sola non decide nulla e che il deejay non è nient’altro che un uomo che mette in moto quegli strani aggeggi per riprodurre e mandare in onda la musica; tanto meno si da spazio agli ascoltatori di scegliere tramite il disco richiesta: è deciso tutto da un accordo economico tra le due parti.
La radio non può scegliere di sua spontanea volontà di promuovere un singolo perché andrebbe contro i legami con le major.
Cosa si può fare per evitare tutto questo? Beh sarebbe il caso di prendere come esempio i magistrati e le forze dell’ordine pubblico, quando si appellano a tutti i cittadini informati dei fatti di non avere timore e di farsi avanti affinché la giustizia faccia il suo corso, i cattivi puniti per il trionfo della verità e della libertà di cui tutti siamo padroni.
Denunciare i soprusi, e rifiutarsi di seguire delle “direttive” che vanno contro la libertà umana è già l’inizio per far sì che il cittadino da semplice merce, possa tornare ad essere colui che decide.